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LEZIONE 1 - INTRODUZIONE: L’IGNOTO
LEZIONE 1 - INTRODUZIONE: L’IGNOTO
PARAPSICOLOGIA 1
LEZIONE 1 - INTRODUZIONE: L’IGNOTO
Informazioni
Informazioni


PARAPSICOLOGIA. LEZIONE 1
MASADA n° 1203. 1-10-2010


 


(Dagli appunti di un vecchio corso tenuto a Bologna dalla Prof. Viviana Vivarelli)


 


INTRODUZIONE: L’IGNOTO


 


“Tu sei una stregona naturale”, mi disse Jimmy Jonatahn.


 


L’ultima frase che la voce mi disse fu “Il soggetto deve diventare l’oggetto”.


 


Parapsicologia vuol dire ‘al di là’, altrove, altro luogo dove io sono e dove non sono, altro modo per attivare una visione dell’essere unitaria e sottile, dove tutte le distinzioni percettive ordinarie cambiano o sono nullificate.


Si avanza per curiosità. Si crede ci cercare, ma è un cercarsi. Tendiamo alla luce perché, come mi disse uno stregone tolteco, “Siamo creature di luce”. Si cede al buio quando ci vince la stanchezza, la materia, la disillusione, e allora le tenebre hanno il sopravvento, ma il male on sé non esiste, è solo un cedere del bene.


Quando si parla di parapsicologia, si raccolgono energie molto eterogenee, tendenze spirituali e oscuri sensi che portano verso il basso. Forse era anche questo che mi tratteneva in passato dall’occuparmene: lo scatenamento non sempre felice e non controllabile delle energie. Ed è stato anche questo a fare di tutto per uscire dalla visione per tornare al mondo ordinario, non meno eterogeneo e confuso. Ho sempre avvertito a livello quasi fisico la compresenza di questa miscela di bene e male, a volte nella stessa persona o in me.


Se tutto va bene le energie si armonizzano, le nebbie si diradano e sono vinte dal chiaro, ma non è una via facile.


Parapsicologia non è stregoneria né mitomania, non è pregiudizio o superstizione o malattia. E’ parte dell’essere. E’ parte del “vedere”.


Niente di quello che facciamo, nella materia come nello spirito, sta fuori dell’ordine. Materia o spirito possono essere luminosi o oscurati o semplicemente ignari.


Qualunque cosa facciamo siamo sempre nell’evoluzione o nell’involuzione, fermi mai, ma a volte i confini non sono così netti e la solitudine spaventa.


Quel che passa non è mai solo informazione, stare insieme alle cose che sono genera un’energia globale che può essere buona o cattiva come ogni altra cosa.


Molto dipende da noi ma non tutto viene da noi e certi cammini richiamano il male come il bene.


Per esperienza so che sono su un argomento rischioso, attira strani soggetti o strane forze, produce esaltazione e inimicizia, e non è sempre facile tenersi al centro del cammino.


La curiosità da sola non fa scienza, il mondo è anche superficialità o ostentazione, morbosità o cupo sentire o megalomania. Occorrerebbe un aiuto forte per andare dalla parte giusta, ma spesso non c’è. Raramente questo aiuto viene dal mondo umano, più spesso da un mondo sovraordinato con cui non è facile avere a che fare.


 


Dire parapsicologia è dire universo.


Telepatia, psicometria, chiaroveggenza, sogni premonitori, energia che cura, contatto con forme di conoscenza superiori, comunicazione con l’angelo o entità spirituali, sincronicità… A ben guardare tutti questi aspetti rientrano in un tema più grande che è la comunicazione.


 


-comunicazione tra una mente e l’altra (telepatia)


-con gli oggetti (psicometria)


-col mondo dei sogni (incubazione onirica)


-tra sano e malato (terapie energetiche di guarigione)


-tra coscienza e inconscio (rapporti intrapsichici)


-con entità sottili (medianità o spiritismo)


-con angeli (messaggi superiori, spiritualità)….


 


Possiamo fare teoria ma non c’è teoria che alla fine non sia pratica, e non sia vita.


Il mondo comincia nel pensiero. Poi ci sarà qualcuno per cui tutto sarà atto e qualcuno che non saprà superare il confine tra possesso e crescita.


La scienza non ci dà strumenti di analisi. La scienza, per definizione, si occupa di ciò che ha per coordinate tempo, spazio, causa, è misurabile ed è ripetibile; qui siamo invece in un settore della vita dove gli eventi sono fuori del tempo, dello spazio, della causa, avvengono spontaneamente e non sono ripetibili a comando, si accentrano in qualcuno, si presentano per lo più in modo anarchico e non controllabile.


L’evento parapsicologico, per sua sostanza, sta fuori delle coordinate scientifiche, dunque è a-scientifico, almeno per ora. Perciò prendiamo l’approccio narrativo come l’unico possibile al momento.


L’evento psi è un fatto storico, è in quanto avviene. E tuttavia questo evento fattuale ma a-logico è un indicatore che ci deve portare non a un’ammucchiata di misteri ma a un cammino di sintesi. La metapsichica deve far strada alla metafisica, solo così l’evento cessa di essere un’anomalia perturbante per diventare stimolo evolutivo in una nuova visione del mondo.


 


Uno dei miei lavori era offrire dei colloqui individuali che stanno a metà tra la psicologia, la psicoanalisi e la parapsicologia, e da tempo ho constatato che le persone che venivano da me presentavano delle facoltà paranormali latenti, come se non fossero retaggio di pochi, ma cominciassero a diffondersi sempre più, soprattutto nelle donne.


 


Papa Giovanni fece una volta una predizione che il mondo sarebbe stato salvato dalle donne, e in effetti esse manifestano una flessibilità evolutiva molto grande e sono produttrici di pensiero nuovo.


Tich Nath, il dolce monaco buddhista di “Essere pace”, afferma che le donne hanno capacità molto sottili di ricezione del mondo invisibile e anche lo stregone tolteco di Castaneda diceva che la loro aura è più complessa, come fossero stregoni naturali.


Le donne, per loro natura, sono sempre state produttrici di pensiero eccentrico, un pensiero che usa soprattutto l’emisfero destro del cervello, quello intuitivo e simbolico, ma da un po’ di tempo mi sembra che anche molti uomini, specialmente uomini giovani, siano coinvolti in un processo di trasformazione verso forme nuove di percezione.


 


Oggi non sono più pochi quelli che possiedono veggenza o medianità, un tempo erano gli sciamani, le streghe, i maghi, ora un numero sempre più ampio di persone sente aprirsi i canali percettivi superiori come se ci fosse un mutamento dimensionale, un rapido salto evolutivo che sta formando un’umanità più ricettiva e sottile. Forse davvero stiamo assistendo a una svolta dimensionale, paragonabile all’apertura della quinta mente o mente superiore, in cui l’uomo può estendere la sua capacità energetica relazionale.


 


Il 1900 è stato il secolo delle comunicazioni, Marconi, Edison, il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione, Internet, i cellulari, i satelliti… è come se lo sviluppo delle scienze progredisse per organizzare meglio le comunicazioni, partendo dagli strati più grossolani e fisici della materia fino a quelli più sottili. Il secolo che inizia dovrebbe portare necessariamente alle comunicazioni anche negli strati più alti, non solo attraverso strumenti scientifici ma grazie a un mutamento genetico o di consapevolezza e capacità, come se gli uomini stessero alzando antenne speciali che allargano la loro ricezione, una ricezione allargata che dovrebbe portarli a scoprire di essere una cosa sola.


L’ignoto circonda l’uomo. La scienza tenta di negarlo o di esorcizzarlo, ma l’ignoto torna a noi come enigma, presenza inesplicabile che fa parte della vita, dimensione dell’anima e del mondo, che non vuole essere definita ma vissuta.


C’è un IGNOTO RELATIVO che è semplicemente ciò che non conosciamo e un IGNOTO ASSOLUTO che è ciò che non potremmo mai del tutto conoscere, perché i nostri mezzi umani sono inadeguati. Esso tuttavia esiste e respira da qualche parte e, per quanto apparentemente inaccessibile, stimola la curiosità e la ricerca.


Noi ci volgeremo a quello, per ripetere il motto di Chesterton “E’ impossibile ma tenterò”.


 


Castaneda diceva che ogni uomo è come su un’isola di conoscenza, e chiamava quest’isola TONAl. Tutto ciò che conosci, per cui hai un nome e che puoi pensare è il TONAl. Ma attorno a quest’isola c’è un oceano infinito, l’Essere nella sua totalità, di cui non sai nulla, che non è mai entrato nei tuoi pensieri. Esso è il NAGUAL. Se l’uomo è un uomo di conoscenza cercherà di allargare la sua isola del sapere, il suo Tonal. Se poi è un mago, uno sciamano, un cercatore più alto, si volgerà proprio all’enorme ignoto là fuori e cercherà di stabilire un contatto. E’ il Nagual stesso che lo chiama, ma volgersi verso l’inconoscibile è pericoloso, è un’avventura rischiosa e speciale, per questo solo pochi possono iniziare l’impresa e quei pochi ne devono essere degni, devono essere impeccabili. Il guerriero spirituale, dice Castaneda, deve essere puro e la prima cosa che deve fare è abbandonare l’egocentrismo e la vanità personale.


 


L’uomo comune attiva meno di un decimo del suo cervello, lo diceva Einstein, ma l’uomo di conoscenza accende parti inerti della sua mente e alla fine percepisce altre realtà o, forse arriva all’intuizione di una sola realtà, ma vi sono sempre due modi per fare una cosa, uno buono e uno malvagio, e sta a noi aprire una via di conoscenza che sia anche verso l’alto.


 


Come diceva Don Juan, non può esistere una via che non abbia anche un cuore. Il discrimine che separa visibilmente bene da male è semplice: quando una cosa la farai solo per te, per rinforzare il tuo ego, ne verranno guai per tutti; quando una cosa la farai in modo disinteressato come elemento dell’universo avrai forti probabilità di essere nel vero.


Nei testi sacri indiani si narra di un principe che doveva fare una guerra ai suoi cugini e, pensando alla strage futura, era pieno di angoscia. Il dio apparve dietro a lui sul suo carro di battaglia e gli disse: “Questo è il tuo compito. Come re, questa guerra tu la devi fare. Se vuoi comportarti bene, falla disinteressatamente, senza averne un vantaggio”.


I termini sanscriti usati sono ‘vidia’ e ‘avidia’, con vantaggio, senza vantaggio. Può essere questo il segreto della vita.


Questa è la differenza tra sapere e possesso. In un caso il sapere cresce in te, nell’altro tu cerchi di farti grande a spese sue, negando l’essere a cui appartieni.


Così nella ricerca comune se faremo qualcosa per pura vanità personale, per esibizione o per esercitare suggestioni o addirittura per lucro o desiderio di potere, non saremo nel giusto; se faremo una ricerca per la ricerca, per trovare o capire, allora va bene, in noi crescerà la vita.


 


La conoscenze è infinita. Eraclito, che era un filosofo greco vissuto 2500 anni fa, diceva: “Per quanto tu voglia andare avanti non conoscerai mai interamente la tua anima”. Il viaggio è possibile ma interminabile. Il viaggio oltre noi stessi, o forse in un noi stessi più grande che ci trascende, è sempre stato tentato, dunque deve essere possibile.


Un tempo i pochi che riuscivano a oltrepassare le colonne d’Ercole della psiche erano considerati guaritori, sapienti, capi, sciamani, che vuol dire uomini di conoscenza, cioè viaggiatori nell’ignoto. Ma siamo tutti viandanti e cercatori.


 


L’ignoto non è definibile in modo scientifico, non è analizzabile in laboratorio né riducibile a algoritmi matematici, è ciò che non ha questi crismi a volte non si può nemmeno spiegare o raccontare, qualcosa di inesplicabile e di sorprendente, che ha una sua realtà ma non la sua definizione, non è un oggetto della scienza ma un fatto dell’esistenza, non appartiene all’ordine logico dei fattori ma a un ordine inesplicabile e non riducibile a norma. E tuttavia l’ignoto ha i suoi segni e le sue vie. E’ semplicemente un evento di un altro piano di realtà di fronte a cui la scienza attuale mostra la sua impotenza, non perché la ricerca scientifica non sia buona ma perché delimita solo la parte dominabile del reale negando il resto. Così qualcuno non incontra questo ignoto mai, qualcuno lo nega anche quando ci sbatte la faccia, altri ne sono spesso visitati e ne subiscono il fascino sottile e inquietante, altri infine ne sono preda e vittime. Solo pochi vivono l’ignoto con rispetto.


Ora che tutte le terre del mondo sono state esplorate, che siamo riusciti a scendere negli abissi e a viaggiare nel cielo, resta ancora enigmatico o profondo l’ignoto dell’anima, delle energie sottili e delle loro comunicazioni, o forse, dovrei dire, l’ignoto dell’essere nelle sue forme di interrelazione. La relazione tra invisibili diventa allora la nuova sfida o forse un altro concetto della relazione tra parti dell’essere.


Potremmo dire che l’ignoto fa parte del sistema vivente, ma non del sistema scientifico e spesso nemmeno di quello religioso, se si intende la religione come una struttura precostituita e per ciò stesso limitata, in quanto ogni ordine umano prende alcune cose e altre le getta via.


L’ignoto fa parte dell’essere, di cui le scienze o le religioni sono solo codificazioni parziali e temporanee, cioè vagli selettivi che colano più acqua di quanta non ne trattengano. L’ignoto è la vita. Qualunque quadro di conoscenza è ‘una singola’ prospettiva di realtà ma non contiene mai tutta la vita. Il nostro mondo fattuale o conoscitivo è un relativo culturale.


Qualcosa sembra sempre esistere al di là della mente umana. E tuttavia la mente umana è una realtà molto complessa e scarsamente impiegata che può andare oltre i limiti del suo funzionamento ordinario. Anche gli studiosi di fisioneurologia sono d’accordo col dire che noi usiamo solo una piccolissima parte della nostra mente, il resto rimane inutilizzato, e ugualmente limitato è l’uso dei sensi.


Potremmo immaginare che il nostro sistema conoscitivo ordinario marci come un guidatore al centro di una autostrada che guarda solo avanti. Siamo come il viaggiatore che procede nel mezzo senza uscire dai bordi; egli non si addentra mai nei boschi vicini, non esplora le possibilità del paesaggio, non guarda sopra o sotto, ha dunque una visione circoscritta culturalmente e limitata, e in qualche modo vive dimentico della bellezza e dell’essenza.


 


Ma chi abbandona la strada sicura per entrare nella natura tutta intera, inesplicabile e inquietante, deve avere un grande senso dell’avventura e una grande audacia, essere pronto a tutto e insieme prudente con tutto. Così il viaggiatore della mente deve avere una curiosità che sovrasti ogni paura, perché ogni viaggio di conoscenza richiede una padronanza e comporta un rischio. Puoi vedere solo il lato oscuro della foresta oppure può perdere la via.


 


Presenteremo qui la possibilità di una metapsichica, cioè di un uso della mente che vada al di là del conoscibile (meta in greco vuol dire dopo, oltre), una mente che oltrepassi gli strumenti psichici tradizionali, che valichi la percezione ordinaria e l’uso convenzionale delle categorie mentali dell’emisfero sinistro.


Parliamo di emisfero sinistro perché le due parti del nostro cervello sono due vere e proprie menti distinte, differenziate.


Nei nostri laboratori pratici di psicologia abbiamo fatto degli esercizi per attivare l’emisfero dimenticato, il meno usato, l’emisfero destro. Abbiamo attivato la mente intuitiva e creativa, facendola esprimere soprattutto per vie junghiane nei modi dell’arte, dell’inconscio, della poesia, della pittura, della scultura, del sogno, della visualizzazione, della libera associazione. Con grande meraviglia i partecipanti hanno contemplato i risultati che sono emersi, come se non venissero da loro stessi ma da un’altra dimensione, i lavori che sono usciti quasi magicamente, anche da persone digiune di arte, sono stati assolutamente notevoli e ognuno con un’impronta di grande originalità. Abbiamo liberato per un po’ la creatività, l’immaginazione, l’inconscio. Ognuno scopriva di avere in sé un artista nascosto, un genio creatore, una guida spirituale, aprendo potenzialità prima inimmaginabili o parti di sé profonde e rimosse. Abbiamo attivato, cioè dinamizzato, l’emisfero destro, intuitivo, quello che usiamo meno, quello che invece è più libero nei geni, negli artisti, nei mistici, nei veggenti …. Abbiamo visto che altre cose erano possibili.


 


La famiglia ci dà gli input primari, la scuola ci insegna la logica, la vita ci imprime il comportamento e la massificazione.


La mente sinistra produce in modo stereotipato, convenzionale ed ereditario l’ordine del linguaggio e del pensiero, la matematica, la fisica, le gerarchie, le regole, le leggi, i costrutti, le tecniche, le analisi, tutto il mondo sistematizzato conosciuto, stretto in strutture, prevedibile e organizzato.


La mente destra si apre liberamente e autonomamente all’inconscio, l’arte, la metafisica, la poesia, il misticismo, il sogno, l’immaginario, la creatività… e anche il paranormale.


Era dunque quasi ovvio che, dopo aver attivato l’emisfero intuitivo attraverso un percorso artistico semi inconscio, parlassimo alla fine di facoltà extrasensoriali. Era il compimento naturale di un lavoro di liberazione.


 


Il nostro cervello è diviso in due parti, molto diverse tra loro. L’emisfero sinistro è quello razionale, l’emisfero destro quello intuitivo. La parte sinistra del nostro cervello ordina il reale nelle categorie di spazio, tempo e causa, le categorie tipiche dell’esperienza ordinaria e delle scienze, e produce un certo quadro di realtà. La mente destra sembra conoscere il mondo in modi completamente diversi.


L‘emisfero sinistro distingue, analizza, separa e oppone. L’emisfero destro relaziona, collega, unisce, identifica. Il primo lavoro è analitico, produce i molti; il secondo è sincretico, porta all’Uno.


 


Così abbiamo due visioni possibili: una visione fisica e meccanica dell’essere o una visione metafisica e alchemica. Cambiando gli strumenti, cambiano i livelli di percezione, cambia il risultato finale, cambia l’uomo che ne è l’artefice e l’intera sua vita, e la sua visione del mondo. Noi non siamo solo sul piano della conoscenza, ma del vivere, dell’essere, del percepire e questo può arrivare a qualcosa di più ampio al di là del fatto esaminato e che abbraccia anche la nostra posizione esistenziale. Ecco perché condurre le cose in un modo o in un altro, usando diversamente strumenti, finalità e strategie, è una scelta filosofica, che può condurci al materialismo più assoluto o allo spiritualismo o a qualcosa che travalica entrambi.


 


Nulla è indifferente. Ogni scelta cambia lo scopo. Pascal diceva: anche se non credi, metti in moto la macchina e arriverai a Dio, ovvero alla verità.


Una volta che la scelta è stata fatta e che il lavoro è andato avanti, avremo un uomo diverso, perché c’è sempre una profonda differenza tra l’uomo che va avanti e quello che sta fermo nelle posizioni acquisite.


Eppure tra questi due uomini dovremmo stabilire un contatto anche se è difficile e a rigor di termini dovrebbero essere estranei l’uno all’altro.


Non noi non capiamo, in fondo, altro che colui che ci somiglia. La relazione comincia sempre come relazione tra affini. Solo più tardi, quando la visione dell’essere è cambiata, potremo pensare di comunicare con ogni cosa e ognuno, ma solo dopo, quando non cercheremo più le affinità materiali ma ci saremo posti idealmente su un piano onnicomprensivo, globale, quando guarderemo a noi stessi e agli altri secondo altri nessi di realtà e altri livelli d’anima.


 


Spazio, tempo e causa sono coordinate selettive, relativi culturali. Farne dei paradigmi sacri e assoluti, cui assoggettare tutti i contenuti di conoscenza ha un che di assurdo. Sono i nuovi Moloch degli adoratori della materia. Il paranormale ne fa a meno e non ha bisogno di accrediti di quel tipo, proprio perché sta altrove.


Un atto di chiaroveggenza implica la conoscenza di qualcosa che sta avvenendo in un altro luogo, non c’è contiguità di spazi, (la madre vede il figlio in pericolo a 1000 km di distanza), un atto di premonizione può conoscere fatti che avverranno in un altro tempo, non c’è connessione nei tempi (sento che quella persona morirà tra un mese). In un evento sincronico due cose si legano al di fuori di qualsiasi causa meccanicistica, (l’uomo muore e il suo orologio si ferma), non c’è nessun nesso causale. Siamo in un livello in cui non c’è la misurabilità del fenomeno, non è possibile la ripetibilità forzosa, non è dato a ‘chiunque’ di sperimentare ciò che esce dalla righe della ripetizione automatica. Il soggetto non è ininfluente e intercambiabile. Abbiamo esperienze che sembrano appartenere a una dimensione non individuata, che salta tutte le regole logiche o tutte le pretese accademiche, con eventi che corrispondono a frequenze anomale o piani di realtà ignorati, che non entrano nei paradigmi convenzionali della scienza in quanto sono propri di un’altra percezione del reale e di un altro livello dell’essere.


L’ignoto è dentro di noi e fuori di noi, dobbiamo solo esserne consapevoli. Il piccolo Tonal di realtà ordinaria non ci tiene abbastanza al sicuro perché prima o poi l’Oceano esterno può invadere le nostre sicurezze ripetibili e consuete.


A me è successo ed è stato eclatante al punto che ho tentato per 29 anni di tornare alla situazione precedente finché ci sono riuscita e non so ancora se è stata una guarigione o un arretramento.


 


Siamo chiusi in una stanza ma il mondo non è in questa stanza. Il primo passo per uscire è varcare la porta. Non si conosce il mondo che fuori. Non se ne può neanche parlare a buon diritto, se non si è mai corso il rischio di uscire da se stessi, perché non è buona creanza dare giudizi di ciò di cui non si sa, al momento, ancora nulla.


 


Una storiella diceva che un pesce e una tartaruga vivevano in fondo al mare. Ma un giorno la tartaruga risalì alla superficie e anzi mise la testa fuori dall’acqua e scoprì un mondo misterioso fatto di cielo e di terre. Faticosamente risalì una riva e contemplò qualcosa di cui non aveva mai avuto conoscenza. Cielo e terra erano così diversi dal mare che non riusciva quasi ad accettare la propria esperienza per quanto fosse inconfutabile. Fu una cosa travolgente e destrutturante. Poi la tartaruga ritornò giù nel profondo del mare. Il pesce arrivò a sentire cosa era successo. E lei cercò di spiegargli cosa aveva visto, ma non aveva parole, non aveva termini conosciuti. Il pesce conosceva solo il mare, e la tartaruga non riusciva a spiegargli il cielo, la terra, non riusciva a trovare concetti o frasi che potessero trasmettergli la sua incredibile esperienza, così risultò insufficiente e ridicola e il pesce concluse che gli stava raccontando un sacco di storie o era impazzita e se andò disgustato.


 


 C’è in realtà un solo modo per capire un’esperienza: viverla.


Se non l’hai vissuta non puoi capire, se la tua esperienza è troppo anomala, non puoi sperare di essere capito, al limite non sarai nemmeno creduto. Ma questa è un’altra storia. Se poi un altro pesce vorrà cercare le prove scientifiche di quello che hai visto fuori del mare, restandoci dentro, sarà per tutti una grossa perdita di tempo. Per cui le tartarughe parlino alle tartarughe e i pesci ai pesci, e accettiamo come cosa scontata che ognuno sia capito, un po’ almeno, o per il momento, solo da chi gli somiglia.


Ma poi, naturalmente c’è anche chi si fa solo dei gran viaggi mentali, ci sono i mitomani e quelli che non ci stanno col cervello e a volte non è molto facile distinguere le tartarughe dai pesci psichicamente confusi. Ma vale la pena di rischiare.


Una cosa vi posso dire: le cose che mi sento raccontare mi sembrano spesso delle balle, quelle che ho sperimentato io mi sembrano oro colato. Ma immagino che per ognuno sia così.


 


Non ripeteremo mai abbastanza che quello che a noi sembra strano o ordinario dipende da un relativo culturale e da un relativo soggettivo. Noi viviamo in un contesto che ci abitua a un certo quadro di realtà, per cui troviamo inverosimile o inattendibile tutto quello che non rientra nei canoni convenzionali della nostra cultura o nella ripetibilità della nostra esperienza. Se vivessimo in una tribù di aborigeni australiani o in una comunità monastica tibetana avremmo imparato altre cose dalla cultura del gruppo di appartenenza o dalle pratiche di vita, se ricordassimo tutte le nostre vite sapremmo che vi sono molti livelli della mente e molte conoscenze possibili. Invece viviamo in una parte del mondo in cui da 400 anni almeno le scienze hanno il dominio totale del sapere, condizionando la mente umana ad agire e reagire secondo modi precostituiti. Ci hanno insegnato cosa dobbiamo ritenere vero e cosa no, secondo una base materialistica e la chiesa cattolica non ha derogato su questo. La nostra mente è stata programmata in un certo modo.


 


Io sono un’insegnante, ho studiato filosofia, diritto e economia, ho studiato in scuole tradizionali materie tradizionali che implicavano l’uso di memoria e logica. Non ho vissuto l’esperienza di sottogruppi sociali legati a superstizioni o fideismi. Non vengo dalla campagna o da comunità isolate portatrici di riti o credenze. Sono un animale di città e i miei libri sono testi scientifici. Ho studiato filosofia, matematica, fisica, filosofia, psicologia, diritto e economia … materie logiche. Per cui nella prima parte della vita ho sviluppato solo l’emisfero logico.


L’unica esperienza di premonizione in famiglia viene da mia madre.


 


Mia madre veniva dalla campagna veneta, aveva fatto solo la terza elementare e aveva lavorato tutta la vita modestamente, era una persona silenziosa e schiva, abituata a vivere nel silenzio e nella sopportazione. La sua vita non è stata molto felice. Era religiosa ma non osservante, e, quando una disgrazia stava per cadere sulla famiglia, sognava la Madonna sull’altare in mezzo alle candele, e, in qualche modo, la Madonna la salvava. Il sogno non era solo premonitore ma anche salvico.


Non aveva mai conosciuto sua madre, era nata orfana di entrambi i genitori, il padre era morto in guerra, la madre si era buttata giù dal fienile alla notizia della morte del marito, in un raptus di disperazione. Non mi è mai parso che mia madre fosse osservante o che pregasse o che andasse in chiesa. Era così chiusa in se stessa e così incapace di manifestare affetto che ho pensato per molto tempo che fosse anaffettiva. Forse era solo molto timida e non aveva imparato a manifestare i sentimenti. Per manifestare affetto bisogna averlo ricevuto, anche i modi dell’affetto si devono imparare. La Madonna che appariva nei suoi sogni era un archetipo, cioè una grande immagine protettiva, una grande figura che oltrepassava ogni madre reale e ogni Madonna di chiese costituite.


Mia madre sognò la Madonna quando mio padre in guerra ricevette un calcio di un cavallo nella testa, lui non morì ma perse l’occhio.


Quando ero bambina ricordo un giorno di agitazione, dopo che il sogno si era ripresentato. Vivevamo in una casa molto povera vicino a Piazza Santa Croce a Firenze, nella zona più vecchia della città. Io ero una bimbetta piccolina. Uscii dal gabinetto che era uno stambugino senza finestra e mi nascosi nell’incavo di una finestra dietro il tavolo con la mia bambolina, in quel mentre con enorme fragore crollò tutto il soffitto del gabinetto. Mia madre, che mi aveva visto entrare ma non mi aveva visto uscire, cacciò un urlo terribile, si mise a scavare frenetica tra le macerie cercandomi e credendomi già morta e, quando io uscii da sotto la mia finestra, si mise a piangere, forse le presi, anche… La disgrazia era venuta ma la Madonna ci aveva salvati.


Quella Madonna, che non veniva da un mondo religioso, rappresentava l’ignoto protettivo, la madre che lei non aveva mai avuto, una forza sovrumana che aleggiava intorno, dentro e fuori di lei e che si sostanziava in un sogno sempre uguale di cui mia madre aveva una sua precisa interpretazione. Nessuno le aveva detto cosa fosse quel sogno, semplicemente lei ‘lo sapeva’.


 


Molti fatti in cui ci imbatteremo nel nostro percorso avranno questa stessa valenza, nessuno ce li deve spiegare, noi sappiamo benissimo cosa significano, la valutazione è dentro di noi con la stessa precisione di una regola logica. C’è qualcosa che è vero secondo i termini della mente razionale e qualcosa che è vero secondo i termini della mente intuitiva. Entrambe si possono sbagliare o possono avere assolute certezze, per motivi diversi. Sono i fatti che danno ragione, alla fine, i riscontri. Anche nei miei colloqui mi sono imbattuta spesso in persone che non appartengono ad aree religiose, che non sono indottrinate, ma che credono in alcune cose, in base a una certezza interiore, che non si fa scalfire da valutazioni logiche. “Io credo che mia nonna mi aiuti perché la sento”. Non c’è un perché, non c’è bisogno di conferme o dimostrazioni. E’ un atto di esperienza totale.


 


Vedremo che alcune di queste certezze ci vengono dai sogni, e che, sia nei sogni che in alcune esperienze allucinatorie, emergono significati in forma simbolica. A volte questi simboli sono propri del soggetto che ne fa esperienza o appartengono alla sua area culturale, a volte sembrano venire da un luogo più ampio che sfiora l’intera umanità e che non ha limitazioni di spazio o tempo.


Jung diceva che in certi casi noi veniamo a contatto con una conoscenza collettiva, che appartiene a una psiche universale, l’inconscio collettivo; essa parla con simboli che intuitivamente comprendiamo anche quando non siamo capaci di spiegarli. Potremmo dire che sono simboli fattuali, li comprendiamo in quanto ci trasformano o ci rendono consapevoli, essi sono attivi e dinamici, sono energia vivente che ci trasforma.


Molti veggenti hanno un codice misto di elementi personali e archetipi che appaiono attraverso simboli.


..


Fonte: http://masadaweb.org



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